Negli ultimi cinquanta anni lo sfruttamento antropico della risorsa
idrica si è fatto sempre più pressante, a tal punto da provocare
l'abbassamento delle falde acquifere e la scomparsa di corpi idrici, a
causa di uno sfruttamento superiore alla capacità produttiva, con
conseguente riduzione progressiva di acqua disponibile per i bisogni
umani.
La scarsità idrica è un fenomeno che può essere ricondotto
a numerose cause tra le quali in primo luogo la crescita demografica,
l'urbanizzazione e l'industrializzazione, che hanno evidentemente
provocato un aumento della richiesta d'acqua per gli usi civili,
agricoli e industriali. A questi fattori si aggiunge l'effetto dei
possibili cambiamenti climatici in atto da alcuni decenni ad oggi.
Da
diversi anni la letteratura accoglie studi idrologici e climatologici,
che rilevano apprezzabili modifiche nei caratteri climatici in numerose
località del pianeta. In particolare, si rileva che il ciclo idrologico
è soggetto a significative variazioni nel tempo, su una varietà di
scale temporali e spaziali, per effetto di numerose cause, tra le quali
quelle antropogeniche risultano prevalenti da alcuni decenni.
Il
costante aumento delle emissioni di gas serra, inoltre, contribuisce in
maniera sempre più evidente al cambiamento climatico con manifeste
modifiche del regime delle precipitazioni, con la riduzione del numero
di giorni piovosi, che sono causa dell'aggravarsi del problema delle
risorse idriche anche in relazione al cambiamento nelle modalità delle
piogge primaverili e estive; la loro intensità superiore alla velocità
di infiltrazione dei terreni, non consente un buon immagazzinamento
nelle falde, non a caso le fluttuazioni piezometriche pluriennali delle
falde sono fortemente condizionate dalle mutazioni dei regimi
termo-pluviometrici.
Le conseguenze dirette di questo andamento
sono, da una parte, la maggiore incidenza di fenomeni alluvionali
causati da forti piogge (su questo naturalmente incide non solo il
carattere della pioggia, ma anche la gestione del territorio),
dall'altra, una progressiva tendenza alla desertificazione, causata da
periodi asciutti sempre più prolungati a fronte di un maggior consumo
di acqua da parte della vegetazione, conseguente all'aumento delle
temperature.
Fra le emergenze ambientali direttamente legate
ai processi di desertificazione, assumono un rilievo particolare, per
via della loro pericolosità, i processi di salinizzazione secondaria
dei suoli indotti dall'attività antropica crescente di anno in anno;
nell'ultimo ventennio si riscontra, in particolare, che le aree irrigue
nei Peasi del bacino del Mediterraneo hanno subito un incremento
stimato intorno al 20%. Queste sono di solito localizzate in prossimità
di zone ad alta concentrazione urbana ed industriale, ove si consuma
gran parte dell'acqua di buona qualità. Ne consegue che, per scopi
irrigui, si ricorre ad acque di scarsa qualità (principalmente saline,
reflui urbani o effluenti industriali). A ciò si aggiunga il
sovrasfruttamento delle falde lungo le pianure costiere, che conduce
frequentemente ad intrusione nell'acquifero di acque marine ed anche
l'eccessivo ricorso a fertilizzanti e pesticidi che, usati in grande
quantità nell'agricoltura irrigua, possono contaminare le acque
superficiali o di falda impiegate per scopi agricoli (e anche civili).
Questi
problemi, purtroppo, come rilevato dal mondo scientifico e pratico,
sono destinati ad aggravarsi per effetto dei cambiamenti climatici
globali previsti per il prossimo futuro; si calcola che nell'Europa
mediterranea tali cambiamenti condurrebbero ad un incremento
dell'indice di aridità con il risultato di dare luogo ad una minore
lisciviazione ed una maggiore salinizzazione, fino a raddoppiare, nei
prossimi 40 anni, le aree affette da salinità.
Particolarmente
soggetti ai problemi della salinizzazione secondaria sono i suoli dei
Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, in particolare
laddove il clima è tendenzialmente caldo-arido.
In tali regioni,
l'acqua, soprattutto se salmastra, rappresenta il fattore limitante la
produzione agricola anche laddove le condizioni pedologiche si
presentano favorevoli. Proprio in questi ambienti, tuttavia, l'acqua
irrigua può costituire lo strumento di una salinizzazione secondaria
dei suoli, cioè di un processo che comporta una ridistribuzione dei
sali e/o di un accumulo di essi in specifici orizzonti del profilo del
suolo e che determina decrementi anche notevoli delle produzioni oltre
che una diminuzione della "qualità" del suolo.
Nel meridione
d'Italia ma, soprattutto in Sicilia, numerose e diversificate sono le
componenti che limitano lo sviluppo agricolo; tra queste assume
particolare rilievo il fattore clima, contraddistinto da un lungo
periodo caldo e secco che interessa generalmente l'arco di tempo che va
da maggio a settembre. Si aggiunga la durata dell'insolazione che è
andata ad aumentare nonché le caratteristiche morfologiche e di
esposizione dei versanti; gli aspetti geolitologici, per ampia parte
rappresentati da argille mio-plioceniche e da affioramenti della serie
gessoso-solfifera; il carattere torrentizio dei corsi d'acqua presenti
che talora mostrano tassi di salinità anche elevati.
In queste
condizioni è sempre più urgente la messa a punto di una precisa
strategia diretta a diminuire i consumi idrici, a salvaguardare le
scorte idriche di acque di buona qualità, ad evitare o almeno limitare
l'uso delle acque saline, i cui risvolti sul suolo piuttosto che sulle
colture sono estremamente gravi. In questi ambienti, infatti, il
ricorso all'irrigazione consente di ridurre i rischi legati al deficit
di umidità e di stabilizzare le produzioni e, fatto oltremodo positivo,
di ampliare la gamma di scelta delle coltivazioni.
In Sicilia,
si constata che più del 10% della superficie totale, cioè circa 300.000
ettari, è interessata da suoli affetti da salinità, in quanto ricadenti
nella serie gessoso-solfifera e in conseguenza di irrigazione con acqua
salata; i primi sono particolarmente presenti nelle province di
Caltanissetta e Agrigento, cioè nella zona centrale e meridionale
dell'Isola, gli altri si rinvengono prevalentemente nella fascia
costiera meridionale dell'Isola, ove la pratica irrigua continuata nel
tempo ha determinato e determina accumulo di sali solubili nel suolo.
Occorre
sottolineare come in un recente passato notevole impulso sia stato dato
in Sicilia allo sviluppo dell'irrigazione mediante la realizzazione di
grandi opere di accumulo e trasporto delle acque, la creazione di
numerosi laghetti collinari e serbatoi a corona, lo scavo e la
trivellazione di pozzi.
Purtroppo, non sempre si è tenuto conto
della qualità delle acque, sia superficiali sia di falda, anzi molto
spesso sono state utilizzate acque improprie all'uso irriguo.
Da
un'indagine condotta su 16 fonti idriche superficiali (acque di
serbatoi) impiegate a servizio dell'agricoltura e che coprono
situazioni anche molto diversificate del territorio siciliano, è emerso
che:
1) nei 7 serbatoi presi in esame nella Sicilia occidentale,
i valori dei parametri chimici monitorati (conducibilità, pH, ioni,
etc.) non destano nel complesso particolare preoccupazione, rendendo le
acque idonee all'utilizzo in campo irriguo. Le acque sono da
classificare come acque con forte salinità e con un basso pericolo di
alcalinizzazione del suolo e possono essere impiegate su suoli che
presentano naturalmente un drenaggio più che buono (suoli sabbiosi) o
su suoli artificialmente drenati, e comunque per l'irrigazione di
colture che presentano una buona tolleranza ai sali.
2) nei 5
serbatoi presi in esame nella Sicilia centro-meridionale, i valori sono
tali da presentare limitazioni leggere o moderate. Le acque sono da
classificare come acque con fortissima salinità e con un medio pericolo
di alcalinizzazione del suolo; considerando che sono acque impiegate su
suoli argillosi e per l'irrigazione di colture moderatamente sensibili
o sensibili alla salinità, è facilmente intuibile quanto sia negativo
l'impatto ambientale dell'uso di queste acque, anche in considerazione
del fatto che il loro maggiore impiego avviene nel periodo estivo,
quando i valori della conducibilità sono solitamente più alti rispetto
alla media.
3) nei 4 serbatoi presi in esame nella Sicilia
orientale, i valori sono tali da presentare limitazioni leggere. Le
acque sono da classificare come acque con forte salinità e con un basso
o medio pericolo di sodicizzazione dei suoli; queste acque vengono
usate per l'irrigazione di suoli tendenzialmente argillosi e su colture
moderatamente sensibili o sensibili.
A riguardo del patrimonio
forestale siciliano, in questo ultimo secolo si sono registrati
numerosi cambiamenti, riconducibili soprattutto ad un incisiva azione
antropica sul territorio. Oggi il paesaggio siciliano è caratterizzato
da poche formazioni forestali che, in maniera discontinua, ricoprono i
maggiori sistemi montuosi della Sicilia, quali l'Etna, i Peloritani, i
Nebrodi, le Madonie e i Monti Sicani.
Il resto del paesaggio
siciliano è caratterizzato da sistemi agricoli molto spesso in stato di
arretratezza colturale e da pascoli più o meno ricchi di arbusteti.
Alle formazioni boschive naturali o sub¬naturali, in alcuni casi molto
degradati, ricadenti principalmente nei maggiori sistemi montuosi
siciliani, si aggiungono circa 123.000 ettari di boschi, realizzati in
questo ultimo secolo dall'Azienda Foreste Demaniali della Regione
Siciliana, dall'E.S.A (Ente Sviluppo Agricolo), dai Consorzi di
Bonifica e, in piccola parte, dai privati e dai Comuni. Negli ultimi
decenni, infatti, la politica forestale in Sicilia si è trovata in una
grave situazione di stallo.
Nonostante, infatti, la Regione
Siciliana si sia dotata, nei decenni scorsi, di normative in qualche
caso anticipatrici di disposizioni nazionali, da anni ormai
l'Amministrazione Forestale non provvede più all'ampliamento della
superficie boscata. Un incremento del patrimonio forestale regionale si
è comunque osservato nell'ultimo decennio, mediante le attività di
rimboschimento delle superfici agricole finanziate dalla Comunità
Europea a seguito dell'emanazione dei regolamenti, sopra accennati,
recepiti a livello nazionale e regionale.
È necessario evidenziare
come al notevole sforzo economico di rimboschimento, perpetrato nel
corso di questi decenni, raramente è seguita l'applicazione di cure
colturali adeguate.
Il costante e rapido aumento del prezzo della
manodopera, infatti, cui non ha fatto seguito un corrispondente aumento
del prezzo del legname, ha portato all'abbandono di molti
rimboschimenti, soprattutto nei terreni di proprietà privata. Nei
terreni di proprietà pubblica, invece, dove le finalità del
rimboschimento sono molteplici e l'impiego della manodopera svolge un
ruolo essenzialmente sociale, si è proceduto il più delle volte a
sporadici interventi di ripulitura e di diradamento di tipo basso e di
moderata intensità.
Tuttavia, la gestione carente ed
inappropriata, se non addirittura di "abbandono" dopo l'impianto, ha
dato origine a sistemi con organizzazione e struttura a diverso grado
di semplificazione, non autonomi e non in grado di perpetuarsi
autonomamente ma nei quali sono stati osservati processi di
rinnovazione naturale delle stesse specie del soprassuolo principale e
fenomeni spontanei di rinaturalizzazione da parte di specie autoctone,
quali leccio, roverella ed altre specie arboree ed arbustive,
caratteristiche dell'ambiente mediterraneo. Per questi sistemi
artificiali si pone, oggi, la prospettiva di organizzarne non tanto la
produttività, quanto appunto la rinaturalizzazione, intendendo con
questa espressione un'azione colturale tesa alla valorizzazione dei
processi naturali di autorganizzazione del sistema bosco, prescindendo
da qualsiasi modello predefinito.
In tale contesto si inquadra
oggi l'attività di forestazione realizzata su vaste superfici in
Sicilia: impianti artificiali ad alto fusto di età variabile tra i 30 e
60 anni con valori più frequenti compresi tra i 40 e 50 anni,
caratterizzati da una forma di governo a fustaia e da una densità di
piante ad ettaro molto elevata, realizzati indipendentemente dalle
varie caratteristiche di substrato, dalle caratteristiche topografiche
e dal clima dei siti di impianto.
Gli impianti, realizzati
soprattutto con conifere e latifoglie del piano basale mediterraneo,
nonché da conifere del piano medio montano mediterraneo quali il pino
domestico, il pino d'Aleppo, il pino nero e gli eucalipti, si
accentrano principalmente nella Sicilia centro occidentale, con le
superfici più estese presenti in provincia di Palermo (popolamenti a
prevalenza di conifere mediterranee), Enna e Caltanissetta (conifere
mediterranee e vasti eucalipteti puri e misti). Consistenti sono anche
le superfici forestali in provincia di Messina e Catania, rimboschite
rispettivamente con conifere mediterranee ed eucalipti e con pino
laricio. Di notevole interesse sono, infine, i rimboschimenti puri e
misti di pino nero e cedro dell'Atlante ubicati sui monti Sicani
(Bivona, S. Stefano Quisquina e Cammarata) e sulle Madonie (Polizzi
Generosa) su substrati carbonatici a quote comprese tra i 900 e i 1.200
m s.l.m.
Alla luce di tali considerazioni, in Sicilia è
possibile distinguere impianti realizzati con finalità di difesa e
conservazione del suolo, quelli aventi finalità produttive e quelli
realizzati con finalità protettive ma suscettibili in parte di un
impiego produttivo. In generale, anche se questi impianti sono
relativamente giovani, si osserva una loro progressiva integrazione nel
paesaggio naturale. Gli impianti realizzati in Sicilia, nonostante
abbiano determinato una variazione molte regioni temperate, mostrano
tutti i loro limiti. L'attività di forestazione e imboschimento si è
tuttavia scontrata con il ripetersi degli incendi che hanno arrecato
non poco danno alle formazioni forestali, divenendo una delle cause che
hanno determinato, negli ultimi decenni, la stasi nell'attività di
imboschimento. In definitiva, la Sicilia ha necessità di una duplice
azione: la salvaguardia dei propri boschi e la realizzazione di nuovi
rimboschimenti.